Rutigliano, uva e non solo:
partire dal patrimonio viticolo per organizzare un sistema integrato di risorse economico-culturali

Alle porte di questo comune della provincia barese campeggia un cartello, che Ë al contempo una promessa per i visitatori e un segno connotativo della sua identit‡: “Citt‡ dell’uva da tavola”.
La vite disegna e modella il paesaggio agrario del territorio rutiglianese, ma non della sola natura essa Ë frutto, bensÏ dell’alacre lavoro dell’uomo, che nel corso del tempo l’ha plasmata, addolcita, perfezionata.
L’uva per Rutigliano Ë molto di pi_ di un prodotto agroeconomico: Ë il suo simbolo, la sua essenza, la prova tangibile della feconda osmosi tra umanit‡ e natura, la testimonianza visibile della sua cultura, che si manifesta nell’ordinario quotidiano allo stesso modo che nelle tradizioni e nelle feste.
Non a caso, Ferdinand Braudel ha autorevolmente sostenuto che la vite ha rappresentato un grande veicolo sociale e culturale per l’area mediterranea, e lo stesso ha ribadito Ellemire Zolla, a proposito dei miti dionisiaco-bacchici che caratterizzarono la genesi delle civilt‡ lambite dalle sapide acque del grande Mare di Mezzo.
Le origini della viticoltura si perdono nella notte dei tempi: la leggenda vuole che sia stato NoË il primo uomo a piantare una vigna dopo il grande diluvio, mentre reperti fossili attestano la sua presenza nelle foreste caucasiche di oltre 300.000 anni fa.
Esiste tutta una letteratura dedicata alla vite, che vanta menzioni nella Bibbia e nel Corano, illustri antesignani nel Catone del De Agricoltura, nel Terenzio Varrone di Res rusticae, nel Virgilio delle Georgiche, e poi nei de Crescenzi, Bacci, Porta, Alemanni, Soderini, Del Riccio, Micheli, tutti autori che hanno scritto a met‡ strada tra arte e scienza agronomica, fondando l’ampelografia, cioË la trattatistica in materia.
La storia della viticoltura Ë affascinante come un romanzo e accompagna attraverso le diverse epoche e popolazioni: dai Sumeri, con l’epopea dell’eroe Gilgamesh, in cui si legge: “vive presso il mare la donna della vigna”; agli Egizi, che ritrassero l’uva in numerose pitture murarie; ai Greci, con Esiodo, che descrive in “Le opere e i giorni” diverse variet‡ di vite e precise tecniche di vendemmia; agli Italici (semi di Vitis silvestris, risalenti all’et‡ del bronzo, sono state ritrovate tra il Po e le pendici appenniniche), con i Romani e gli Etruschi, che raggiunsero alti livelli nella produzione ed esportazione di questo frutto prezioso.
Agli ordini monastici, che razionalizzarono nell’alto Medioevo le tecniche agricole della nostra penisola, si deve la conservazione di quest’antica arte della campagna, altrimenti decaduta con la crisi dell’Impero romano e con la conseguente perduta sicurezza dei vigneti.
Tra Umanesimo e Rinascimento, nacque la cosiddetta “viticoltura borghese”, finanziata dai nuovi ceti mercantili, che investirono nello sviluppo della coltivazione di questa difficile specie arborea, a lungo ciclo biologico e bisognosa di notevoli cure.
Con le scoperte geografiche, la vite approdÚ nel Nuovo Mondo, in Messico e poi in Sudamerica.
Nell’Ottocento, essa scrisse un piccolo capitolo anche nella storia della microbiologia e della entomologia, con la lotta ai micidiali parassiti che ancor oggi la affliggono nonostante le novit‡ preventive e terapeutiche introdotte dalla moderna ricerca sperimentale.
Attualmente, la viticoltura Ë una scienza complessa e interdisciplinare, ai confini tra la fisiologia vegetale, la genetica, la biologia molecolare, la biotecnologia.
Sono un giurista, e non posso omettere di ricordare gli apporti della viticoltura alla storia del diritto: norme giuridiche a difesa dei diritti dominicali e a custodia dei vigneti, formule contrattuali, regolamentazioni delle opere rurali, imposizioni di dazi, introduzione di incentivi all’impianto.
Carlo Magno, nel suo Capitulare de villis (770-800) stabilÏ che: “i nostri giudici curino le nostre vigne che sono di loro competenza e le coltivino bene…”.
Interessanti, sotto questo profilo, pure gli aspetti giuspenalistici: l’imperatore bizantino Teodosio, nel IV secolo, sancÏ la pena di morte per chi sacrilega falce tagliava le viti; il re longobardo Rotari, nel suo celebre Editto (643) previde severe punizioni per chi rubava anche piccoli quantitativi d’uva o danneggiava la vite; lo statuto di Arezzo, del 1327, introdusse norme che punivano chi danneggiava le siepi e che obbligavano i proprietari di cani a tenerli lontani dalla colture nel periodo della maturazione dell’uva.
Sono innumerevoli le opere d’arte e gli artisti, dal Caravaggio, sino ai contemporanei, che hanno raffigurato l’uva e la vite, ristoro per gli occhi e delizia del palato.
Alcuni teologi sostengono persino che l’albero del Paradiso fosse proprio una vite…

L’uva Ë il grande tesoro rutiglianese: basta visitare la centrale Piazza dei Caduti, ove s’affollano al meriggio piccole folle di venditori, compratori e, soprattutto, mediatori, con la caratteristica “coppola” in capo, oppure partecipare all’annuale “Sagra”, ammirando la pingue e vellutata opulenza dei suoi turgidi acini, per capire che nelle vene di questo comune dell’entroterra pugliese scorre intenso il suo nobile succo.
Ma l’uva da sola non basta: perchÈ la domanda dei mercati di questo alimento di lusso Ë assai flessibile e minaccia di entrare in crisi di fronte al diminuire dei redditi; perchÈ i tendoni desertificano, tutto assorbendo nella loro promessa di ricchezza, eppur sottraendo spazi ad altre iniziative imprenditoriali; perchÈ a Rutigliano mancano librerie, gallerie d’arte, luoghi di cultura.
Occorre puntare ad un marchio di qualit‡, tipicamente rutiglianese, selezionando le produzioni e raffinando le tecniche.
E’ necessario collegare ed organizzare questa enorme risorsa in un sistema con le altre attrattive di Rutigliano, che qualora valorizzate, consentirebbero l’afflusso di un turismo culturale raffinato e non invasivo e un duraturo sviluppo economico: il patrimonio archeologico, uno dei pi_ importanti della penisola, resta negletto in quel di Taranto, ove il locale museo tiene negli scantinati la gran parte delle testimonianze delle antiche Azezio e Bigetti, mentre il museo civico rutiglianese langue nell’indifferenza; la festa del fischietto in terracotta, simbolo del legame con la terra, comincia da poco a decollare ma non riesce ad assurgere al rango di manifestazione di respiro e fama internazionale come meriterebbe; il centro storico tardo medievale, perfettamente conservato, andrebbe meglio pubblicizzato, con i suoi scorci ammalianti e i monumenti come la torre normanna e la chiesa romanica di Santa Maria della Colonna, le sue opere d’arte come il polittico di Antonio Vivarini, uno dei maestri del ‘400 veneziano, o le pale d’altare di Michelangelo Capotorto, valente pittore rutiglianese del ‘600; la produzione industriale dei grandi stabilimenti dell’agroalimentare, Ë una realt‡ economica che attesta le capacit‡ imprenditoriali di questa gente; le feste della settimana santa e le sagre dell’uva sono un suggestivo richiamo per i tanti appassionati di folk-lore; le masserie fortificate, antiche dimore in cui spesso albergano dismessi frantoi oleari ipogei e opifici vitivinicoli, rappresentano un affascinante itinerario nella civilt‡ contadina.
PoichÈ dalle parole occorre passare ai fatti e alle proposte concrete, ecco il mio contributo, che Ë poi un auspicio del bene comune: mettiamo in rete le risorse rutiglianesi, facciamo distretto o cluster (se preferite le anglofonie) tra le varie realt‡ locali, tra le aziende e gli enti non profit, tra l’amministrazione municipale e gli investitori privati.
Creiamo un’immagine nuova, nel segno dell’uva, per questo operoso comune, allestiamo un percorso mirato per l’investitore e per il turista: “Spend one day in Rutigliano”, oppure Stop over in Rutigliano”, potrebbe suonare lo slogan pubblicitario, magari accompagnato da un’esortazione: “and buy our wonderful grapes”.
Il fortunato ospite potrebbe cominciare l’esplorazione dalla magnifica Lama dell’Annunziata, ove un attore vestito da igumeno lo accoglierebbe tra gli anfratti rupestri, parlandogli degli insediamenti archeologici, delle vie romane, delle propriet‡ della farmacopea dei “semplici”, come borragine e salsapariglia, aiutandolo a raccogliere aglio roseo, asparagi e mentuccia, ammirare orchidee selvatiche, mammole e anemoni, attendere il passaggio del gheppio o addirittura della volpe, udire il verso dell’allodola o dell’upupa.
Di qui, il visitatore si spingerebbe alla quattrocentesca masseria/castello Pannicelli o alla seicentesca Purgatorio, ove in un’atmosfera da Gattopardo, grazie alle parole di una marchesa o di una giovane contadina, tra gli oggetti ed utensili del passato, potrebbe rivivere le usanze della nobilt‡ e la fatica dei mezzadri e dei coloni, nonchÈ apprendere le tecniche di produzione dell’olio e del vino, non mancando di gustare il meglio della produzione locale, decantati da assaggiatori e sommelier.
Poi verrebbe accompagnato alla suggestiva “chiesa col buco”, la romanica Sant’Apollinare, o nelle numerose altre pievi che costellano l’agro; in seguito, rientrato fra le mura cittadine, giungerebbe al museo civico e di lÏ nel borgo antico illuminato a festa, dove potrebbe ammirare Palazzo Antonelli (appena restaurato) e le altre case signorili, coi loro stemmi scolpiti nella pietra, il museo demo-etnoantropologico e quello di arte figula; in compagnia delle sue guide multilingui, incontrerebbe gli artisti di strada e gli artigiani e si insinuerebbe nello strettissimo vico Passatutti o nella suggestiva via De Bellis, scoprendo che le case disponevano di pozzi privati tuttora esistenti.
Al turista in visita a Rutigliano, potrebbe persino capitare di imbattersi in una coreografica banda coi suoi orchestrali in marsina, capitando nel mezzo di una delle tante feste, sagre e fiere, che periodicamente animano il paese: il Crocifisso, i riti pasquali, la fiera di San Lorenzo, il Pass a Pass, la rassegna figula.
Naturalmente, non mancherebbe il tempo per gustare la prelibata e variegata gastronomia locale, allietata da un bichiere di vigoroso primitivo, di delicato rosato o di armonico trebbiano.
Infine, signora delle tavole imbandite, trionferebbe l’uva delle diverse qualit‡, e il ricordo sublime di una simile giornata risuonerebbe di certo nelle parole degli ospiti stranieri, potenziali acquirenti dei nostri prodotti.
Non Ë un sogno, Ë un modello di citt‡ ideale, una breve vacanza in atmosfere incontaminate che altrove ci invidiano.
E’ questa la grande sfida per il futuro di Rutigliano.


Prof. Avv. ENZO VARRICCHIO
Centro studi Economia Ventura

 

 

 

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