Enzo Varricchio
Pubblicato su Realtà Forense febbraio 2006

L’”avvocato senza qualità”

“L’avvocato senza qualità”, inteso come soggetto che gode dello status di avvocato, ma si distingue per qualità diverse da quelle specifiche del suo ruolo - che è quello di difendere i cittadini dall’arbitrio delle istituzioni o dal sopruso di altri cittadini - è un ideal tipo che purtroppo si afferma nella realtà odierna, non diversamente dal “magistrato senza qualità” denunciato da Vito Marino Caferra nell’illuminato saggio del 1996.
Caferra, servendosi del prototipo dell’”Uomo senza qualità” protagonista dell’omonimo romanzo di Robert Musil, (Der Mann ohne Eigenschaften, Berlino, 1931-1933), stigmatizzava la “mutazione antropologica” in atto nella magistratura, troppo politicizzata e coinvolta negli interessi corporativi per assolvere la sua funzione istituzionale.
Lo studioso saggiava, senza mezzi termini e con la lucidità propria dello scienziato, vizi e virtù della magistratura italiana, giunta all’acme del suo successo mediatico dopo Tangentopoli e, al contempo, precipitata al minimo della sua terzietà, indipendenza ed imparzialità rispetto ai conflitti in atto nella società.
Da par suo, l’avvocatura tocca, al giorno d’oggi, il fondo storico della sua popolarità e dell’apprezzamento da parte della pubblica opinione e, nello stesso tempo, attraversa una fase di crisi interiore, rischiando di abdicare ineluttabilmente ai fondamenti etico-sociali della sua azione.
L’avvocato italiano, come il bellimbusto tratteggiato nel romanzo di Musil, è un personaggio buono per tutte le occasioni, che utilizza disinvoltamente le conoscenze giuridiche per far carriera; è avvocato d’azienda, d’affari o di mafia, è un uomo adatto a ricoprire sedi di potere politico - economico, un professionista rampante, un manager capace di gestire risorse umane ed economiche, se non addirittura l’ultimo prodotto di una singolare “mutazione genetica” (più che antropologica, diremmo, professor Caferra): l’avvocato-magistrato, cioè il Giudice di Pace, il Giudice Onorario Aggregato, il Giudice Onorario di Tribunale, il Vice Procuratore, il Magistrato minorile etc, che può esercitare parallelamente le funzioni di difensore e di giudice, dando vita potenzialmente ad un assai pericoloso conflitto di interessi.
La recente Riforma delle Procedure concorsuali ha introdotto l’ennesima figura parapatologica dell’avvocato/curatore plenipotenziario, che dispensa a colleghi e periti gli incarichi prima assegnati dai giudici delegati, attirando su di sé una pletora di interessi lobbistici.
Per non parlare dell’avvocato/azienda, ulteriore ibridazione reificante, strenuamente propugnata dall’Unione Europea, in cui la struttura materiale con la sua logica del profitto e del mercato concorrenziale fa premio sull’umanità e sensibilità del lavoratore intellettuale.
Più frequentemente, l’avvocato è un piccolo professionista, che sfrutta le zone grigie della legge per sopravvivere nella giungla dei tribunali, che non esita ad accordarsi con il mercante di turno pur di procacciarsi nuova clientela, che frequenta maliziosamente i magistrati con l’intento di procurarsene i favori e gli incarichi, che bazzica i corridoi delle cancellerie, delle banche e delle compagnie di assicurazione con l’obliquo interloquire del praticone, che anima l’associazionismo forense per farsi eleggere nel consiglio dell’ordine e si candida al consiglio medesimo per poi tentare la scalata alle cariche politico-amministrative, che scrive articoli e offre consulenze sui giornali per accrescere la propria visibilità, che organizza cenacoli, concerti e beneficenze, che partecipa a circoli paramassonici per crearsi nuove potenti amicizie, che frequenta i sindacati e fonda comitati di tutela dei consumatori per accaparrarsi consenso elettorale o, quanto meno, altra clientela (magari aggirando i minimi tariffari), che apre studi a Roma o a Milano perché fa VIP, che allestisce un favoloso sito Web per dialogare con il mondo.
Egli è un uomo che ha sempre meno ha tempo per dedicarsi alla difesa degli oppressi, alla ricerca teoretica, all’aggiornamento, alla stesura degli atti e alla presenza alle udienze, troppo impegnato com’è a coltivare clientele, relazioni, rapporti, raccomandazioni.
Naturalmente, v’è ancora, come sempre vi è stata e ci auguriamo ci sarà, una parte sana della categoria, che studia, lavora e si pone un’infinità di dubbi sulla legittimità etico-sociale della propria condotta professionale ma tale pars construens, purtroppo, non possiamo più ritenere sia maggioritaria come in passato.
Quella degli avvocati non è mai stata una categoria esente da critiche ma ora pare colmata la misura.
L’Avvocatura ha bisogno di ridarsi credibilità di fronte alle molteplici istanze che provengono dalla società civile, di ricostruire il proprio ruolo alla luce dei mutamenti epocali, di riappropriarsi e farsi portavoce dell’umanesimo giuridico, di contribuire a ricondurre la norma e il processo verso il raggiungimento di scopi eticamente universali, oggettivi e necessari.
Per raggiungere tali obiettivi, le occorrono coesione, formazione, selezione e trasparenza.
La prima serve a riconoscersi portatori di una missione sociale strategica e ad enucleare un progetto unitario; la seconda ad accrescere e completare il bagaglio di conoscenze della classe forense di oggi e di domani; la terza a ridurre l’esasperata concorrenzialità tra gli studi legali; la quarta a tutelare la clientela.
Nessun rimedio va imposto d’imperio ma andrebbe metabolizzato dal vertice alla base, per costruire un insieme di nuovi valori, comuni e condivisi, in grado di rispondere alle esigenze non solo degli avvocati ma, soprattutto, di tutti i cittadini.
Per riconoscersi in valori comuni, è indispensabile utilizzare il fattore etico che, oltre a rappresentare un vantaggio competitivo di lungo periodo, è il collante che potrà consentire l’unione degli sforzi per restituire agli avvocati dignità professionale e una funzione sociale.
Una classe forense più documentata, collaborativa e consapevole di poter far molto per coronare i grandi ideali etico-giuridici di libertà, eguaglianza e solidarietà, rappresenta una valida risposta alla visione panaziendalista della direttiva Bolkestein ma, soprattutto, la garanzia del permanere di una possibilità di giustizia terrena.

Enzo Varricchio

 

 

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