Foto: Giacomo latrofa

 

Enzo Varricchio
pubblicato su Barisera in 11 puntate

In viaggio per la Puglia misteriosa

Guida alfabetica attraverso fatti, luoghi, simboli, leggende e tradizioni.

 

-Acque (lustrali) - Locorotondo (BA), Manduria (TA), Rutigliano (BA)

-Albero - Ischitella (FG)

-Archeologia e antropologia - Gargano (FG), Leuca (LE), Altamura (BA)

-Bombardamento - Bari

-Castello (del Monte) - Andria (BA)

-Càtari - Faeto, Celle di S. Vito (FG)

-Cinta (Triplice) - Bari, Barletta (BA), Monte S. Angelo (FG), Terlizzi (BA), Vieste (FG)

-Cistercènsi - S. Maria del Galeso (Ta), S. Maria della Carità di Ripalta (Capitanata - Fg), S. Maria di Tremiti (Fg), S. Giovanni in Lamis (S. Marco in Lamis - Fg), S. Benedetto (Conversano - Ba)

-Dauni - Manfredonia (FG)

-Diomede - isole Tremiti

-Evola Julius

-Fisica (alterazioni della) - Statte (TA), Ostuni (Br)

-Giordano Bruno - Bari

-Immagine (prodigiosa di Maria) - Terlizzi, Conversano, Monopoli, Corato (BA), Foggia, San Severo (Fg)

-Legno (incorrotto) - Monopoli (BA), Bari

-Massoneria - Bari, Rutigliano (BA)

-Dossier Megaliti:
Puglia segreta.

-Il fenomeno megalitico, nella terra dove le pietre raccontano

-Moltiplicazione (di sostanze alimentari) - Bari, Conversano (Ba)

-Montagna (sacra) - Monte Sant’Angelo (FG)

-Myriam (Confraternita di) - Bari

-Necropoli - Otranto (LE)

-Origini (geologiche) - Puglia

-Ostia (profanazione della) - Trani (Ba)

-Passaggi segreti - Rutigliano, Conversano, Valenzano (BA), Ostuni (Br)

-Padre Pio - S. Giovanni Rotondo (Fg)

-Pentecoste - Accettura (Ba)

-Piramidi - Manduria (Ta)

-Riti terapeutici - Noci (Ba), Calimera (Le)

-Ruota - Bari, Rutigliano (Ba)

-San Nicola - Bari

-Solstizio d’estate - Manfredonia (Fg)

-Streghe - Martina Franca (TA)

-Tarantolati - Galatina (LE), Polignano a Mare (BA)

-Templari - Puglia

-Teratologia - Gallipoli (Le)

-Tesoro - Rutigliano, Ruvo di Bari (Ba)

-Trulli - Valle d’Itria

-Veggenti - Gargano (Fg)

-Villino stregato - Bari, Conversano, Ruvo di Puglia (Ba)

-Selva Oscura - Puglia

-Stalin - Bari:
Tempio di Baba-Ji - Cisternino (BR)

-I fondamenti teorici della guida

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Saluto al viaggiatore

Il viaggio, com’è noto, rappresenta una potente metafora della vita. Sia che si tratti di un itinerarium mentis sia che comporti uno spostamento fisico, viaggiare provoca ed esprime un mutamento di stato, una scelta per l’azione in vece della stasi, talora una katastrofé, un ribaltamento di posizioni. Implica coraggio, oltre che curiosità. Come si dice, il turista viaggia per curiosità, il viaggiatore per bisogno. Bisogno o esigenza di che cosa? Di vedere più in là rispetto al quotidiano ed ordinario, rinunciando alle consolidate certezze, per scrutare l’orizzonte dell’ignoto.

La parola “mistero” proviene dal greco musthrion (ciò che è chiuso, nascosto). Per il teologo indica la verità intima che procede innanzi alla ragione, senza per questo negarla. Per Kant è l’insondabile, l’inconoscibile con i mezzi limitati dell’umano raziocinare: il noumeno. Per l’uomo di scienza è il non (ancora) noto, l’obiettivo della ricerca. Per l’esoterista è la chiave segreta di lettura della realtà, custodita nel patrimonio della tradizione simbolica. Per l’uomo comune rappresenta l’occulto, un insieme d’incomprensibili forze che influenza la vita sotto forma di caso o fortuna. Al giorno d’oggi, nell’era post-tutto, segnata da ansie e profezie millenariste, il mistero è un fenomeno di massa che affascina e condiziona, divenuto per i media una fonte inesauribile di successo commerciale. La cultura misterica conosce un nuovo fiorire dal basso: film, telefilm, rubriche televisive, giornali, riviste, siti Internet, si affannano a proporre o riproporre ogni sorta di stranezza, con uno spirito ben lontano da fini autenticamente conoscitivi.

Oggi, come sempre, è acceso il dualismo tra indagine razionale e gnosi soprannaturale, tra progresso scientifico e abbandono fideistico. Com’è ovvio, il problema non consiste nel decidere se credere o meno alla possibilità di eventi paranormali ma nell’essere disposti ad accettare la sfida con ciò che non può essere spiegato attualmente in modo razionale. Bisogna prendere atto che la dinamica fenomenologica naturale è sottratta alla ripetitività di laboratorio ed alla legge delle costanti uniformi, fondamento della scientocrazia razionalistica. E’ arcinoto che nel mondo fisico non esiste un fulmine uguale all’altro, un fiocco di neve, un albero, un individuo identico all’altro. D’altro canto, la stessa scienza contemporanea ci ha abituati all’idea di un pensiero alogico, divergente o “laterale”, come possibile mezzo alternativo, al fine di giungere per via intuitiva laddove gli strumenti razionali non osano spingersi.
Per la fisica quantistica è l’osservatore che crea la realtà, selezionando tra diverse opzioni e scatenando, col suo comportamento, conseguenti reazioni nel mondo circostante. La cosmologia propone lo scenario di un universo doppio e speculare costituito dall’Antimateria. Accanto alle quattro dimensioni tradizionali (le tre spaziali più il tempo), vi sarebbero state originariamente altre sette, poi compattate all’indomani del Big bang. Carl Gustav Jung, nel 1952 (La sincronicità), sostenne la validità predittiva dei fenomeni mantici (numerologia, astrologia, geomanzia, ESP) nella sussistenza di “coincidenze temporali di più eventi non legati da un rapporto causale, che hanno uno stesso o un analogo significato”. Si trattò di un attacco alle leggi di causalità necessaria, sferrato dopo che Freud e Einstein avevano demolito l’edificio meccanicistico di tipo newtoniano. Alla triade classica del pensiero scientifico contemporaneo (spazio-tempo-causalità) si aggiungeva la sincronicità, intesa appunto come nesso significativo tra princìpi acausali.

I movimenti culturali della new o della next age hanno raccolto l’istanza spiritualistica proveniente dalle masse e l’hanno coniugata con gli assiomi della nuova scienza, talora con esiti nebulosi e devianti. E’ invece necessario accostarsi alla tradizione misteriosofica con uno spirito eclettico, piuttosto che sincretico. Non si tratta, beninteso, di formule magiche o scongiuri, ma di un amore per la conoscenza, di una lotta contro il pregiudizio, di un libero pensiero bruciato molte volte dalla storia sul rogo dell’ignoranza, di un tentativo di uscire dalla “caverna platonica” e, senza presunzioni, sondare nuove vie. L’interesse per i simboli dell’antica Alchìmia, ad esempio, è di tipo antropologico e culturale. Il criterio esegetico della Mag-ia (lett. “scienza donata”, nelle antiche lingue orientali pelvi e zend), snobbato dalla scienza ufficiale (che pure da esso prese l’avvio), sovente destinato a riposare nel culto di pochi adepti a parte dalla storia collettiva, può essere invece utilizzato allo scopo di meglio comprendere i fenomeni politici e sociali. Gli studi di Guénon sulla “Divina Commedia” e alcune interpretazioni della critica dell’arte, sul significato ermetico di noti dipinti (la Primavera del Botticelli, opere di Nicolas Poussin e Gustave Moreau), sono serviti a capire che dietro grandi capolavori si nasconde spesso un simbolismo, una sensibilità misteriosofica di tipo segreto.
Esiste una vasta letteratura sulla storia segreta, nascosta, ignota, obliata.
Perché non avvalersi di una chiave di lettura della realtà, quella esoterica, “capace di esplorare i molti filoni di una cultura e di un’epoca, ovvero le relazioni ed i legami, spesso nascosti, tra culture ed epoche diverse”? (cfr. Kieckhefer, “La magia nel Medioevo”).

Il lavoro che ho svolto ha due speranze: guidare il diffidente turista verso la prima tappa di un grande itinerario, compiuto dall’uomo attraverso i secoli e i millenni, commisto di solidi ideali e stolide credenze, attraverso l’ambiguo mondo della fede in qualcosa di ultramateriale, a seconda dei casi di natura immanente o trascendente, oltremondana o panica, exoterica o essoterica, ma comunque un qualcosa che costituisca il senso primo ed ultimo della vita; e di accompagnare il viandante solitario, che al mattino dirada le coltri della stanza e fissa il percorso, le calli, le nubi lucenti dell’alba e, attraverso lo spazio e il tempo, si perde nelle visioni della mente.
Un saluto al pellegrino della coscienza, dunque, novello Odisseo o Giasone, che al suo ritorno a casa riprenderà le consuete abitudini. Di questo inconsueto itinerario gli resterà il retrogusto acre di una Melencolia.
L’Opus è ciclico, ogni giorno ripartiamo verso l’ignoto.

Una terra misteriosa

Storicamente è sempre stata oggetto di conquista. bari capitale bizantina della provincia dell’Italia meridionale
Come altre zone del Mezzogiorno d’Italia ha subito gli effetti di una marginalizzazione politica, economica e culturale.
La Puglia, con i suoi silenzi fascinosi e le sconfinate solitudini, è terra di forti tensioni spirituali e ricca di memorie e segreti da sondare. A cominciare dalle vicende originarie di una regione percorsa da molteplici popoli e stirpi (in principio, Illiri, Osci, Pedicoli, Enotri, Miceni, Dauni, Peuceti, Messapi; poi greci, romani, longobardi, bizantini, arabi, ebrei, armeni, normanni, svevi, angioini, aragonesi...) e legata al mito protostorico del trace Diomede (alter ego della figura di Prometeo e di molti altri analoghi “tipi” d’eroe), dotato di un magico scudo, amico di Agamennone e feritore di Venere, nonché uccisore del drago Colchide a Corcira. Per non parlare della posizione geografica della regione, ritenuta da sempre un ponte ideale tra Oriente e Occidente.
La tradizione pitagorica (fu il filosofo pitagorico Ippaso di Metaponto a distinguere per primo l’aritmetica dalla geometria, meritandosi la scomunica dei suoi compagni e le ire di Giove), le processioni pasquali, le madonne nere, i riti liberatori dei tarantolati, le costruzioni megalitiche, le grotte e le montagne sacre, i simboli nelle cattedrali, Castel del Monte, i trulli, le stele daune, gli insediamenti cistercensi e templari, oltre ad essere motivo di profonde suggestioni per chi visita la Capitanata, il Salento, la Terra di Bari o quella d’Otranto, sono l’espressione concreta di articolate commistioni tra paganesimo e cristianità, culti misterici e religiosità popolare.
I luoghi sono simboli, i simboli sono luoghi. Vi sono, nel territorio pugliese, a parte i noti santuari, molti siti fortemente “carismatici” e poco conosciuti, vere e proprie “Dimore filosofali”, come le avrebbe definite il celebre alchimista francese Fulcanelli, autore dell’omonimo libro. Così pure, questa terra ha dato vita ad ordini e congreghe, monasteri e confraternite di variegata natura, che talora sopravvivono, con il loro denso patrimonio di rituali iniziatici.
Il Medioevo e le sue variegatissime testimonianze hanno diritto di cittadinanza privilegiato in questa estrema propaggine italica. Ovunque vi sono segni dell’Età di Mezzo. crociate, pellegrinaggi, concilio di bari eccIl Medioevo in Puglia risuona tra le coltri di nubi sul palagio di Federico, echeggia nel verso dei falconi, risplende d’aurea austerità di tra le bianche pietre di conventi, cattedrali e fortezze, balena nei dipinti degli artisti a nei ricordi lontani dei cittadini, rammemora in feste e filastrocche popolari. Il Medioevo è di casa, produce turismo e buona economia.
E ancora, pei borghi e le campagne, vicino al mare e nelle selve, mai vien meno l’antico uso del narrare, del tramandare altrui storie o inventarne, a monito o beneficio dei fanciulli, di amici e parenti. Chi, prima, durante o dopo la lettura di questa guida, viaggerà da un capo all’altro di questa antica landa, magari lungo la Via Traiana, come i Crociati dal 1097 alla fine delle spedizioni in Terrasanta, ne ascolterà tanti di racconti en plen air, quelli che una volta venivano chiamati “ditt”, vere e proprie rappresentazioni teatrali inscenate da nuclei amicali.
Si è tentato di stimolare la curiosità e la fantasia, invogliando alla visita diretta i lettori che, è certo, conoscono già (o scopriranno) personalmente altre cose, ben più interessanti di quelle qui riportate. Saranno, pertanto, molto graditi nuove informazioni, correzioni e ragguagli.

 

Acque (lustrali) - Locorotondo (BA), Manduria (TA), Rutigliano (BA):

i primi centri umani sorsero in corrispondenza delle miracolose falde freatiche, da cui sgorgava acqua, fonte della sopravvivenza, elemento alchemico primigenio e mediale tra terra e fuoco, simbolo di purezza o purificazione. Equivalenti simbolici: Acqua mercuriale, Amrita, Rugiada di Luce, Spirito Santo, Quintessenza, Elisir, Fonte battesimale, Lete ed Eunoé.
La notte tra il 31 agosto e il primo settembre gli abitanti di Locorotondo (BA) montano sui tràini e raggiungono Torre Canne, in riva al mare, distante una ventina di chilometri. Qui attendono l’alba e, non appena il sole fa capolino, entrano in acqua a piedi scalzi e con la mano destra si bagnano la fronte. Il rito assicura loro buona salute per tutto l’anno o, quantomeno, li preserva dal mal di capo sino al prossimo settembre.
Manduria (S.S. 7/ter salentina) fu uno dei principali centri messapi e ancor oggi mostra una triplice cerchia (v. voce “cinta”) di poderose mura megalitiche, databili dal V al III sec. a.C. Ospita il Fonte detto “Pliniano” (ricordato da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia, per la singolarità di avere un livello d’acqua sempre costante), presente anche sullo stemma cittadino. E’ una grotta naturale di forma circolare, probabilmente consacrata a divinità dell’acqua, che sfrutta il principio dei vasi comunicanti e dimostra le straordinarie capacità ingegneristiche degli antichi Messapi (attuate anche nelle costruzioni megalitiche). Presenta al suo interno un vetusto albero di mandorlo, del tutto privo di radici. Gli abitanti chiamano la fonte “lu scegnu”, vocabolo d’oscuro significato, e attribuiscono all’acqua oligominerale che ne sgorga rare proprietà taumaturgiche. René Guénon ne “I simboli della Scienza Sacra”, ha spiegato chiaramente il simbolismo dell’albero senza radici o rovesciato (v. voce albero) in una grotta acquosa. Bibl.: Michele Greco, Del Genio in riva lu Scegnu, 1957; Bianca Capone, Acqua prodigiosa alla fonte di Manduria, Gli Arcani, 1973.
Le abitazioni di Rutigliano (BA) conservano talora pozzi naturali e autonomi.


Albero - Ischitella (FG):

i prodigi biologici relativi a vegetali sono parte importante del patrimonio miracolistico. L’albero della vita (ebraico), edenico (cristiano), benedetto (Corano, Surat En - Nur), centro assiale o raggiante (indù), è simbolo, in tutte le tradizioni, della coincidenza delle diverse nature nella superiore Unità (tutti i rami si innestano nel medesimo tronco).
L’ulivo, albero pugliese per eccellenza, nella visione islamica è l’albero dal cui olio si alimenta la luce di una lampada, ed è sinonimo di Allah (la Luce). Nella Cabala ebraica, questo albero, che non è d’Oriente né d’Occidente (ma d’entrambi!), stilla la Rugiada della vita. Altre tradizioni si riconnettono all’abete, al cipresso ed alla quercia (v. voce “Pentecoste”, Accettura).
Ad Ischitella (S.S. 89 - garganica) v’è l’ex convento di S. Francesco, ora non più abitato dai frati e sede del Municipio. Nel 1216 S. Francesco d’Assisi, in pellegrinaggio alla Grotta di S. Michele a Monte S. Angelo (v. voce “Monte Sacro”), si fermò ad Ischitella. Ad un certo punto piantò in terra il suo bastone, dicendo: “in direzione di questo bastone sorgerà la porta della una chiesa di un convento”. Il bastone attecchì e divenne un albero maestoso, di fronte al quale fu costruito un Convento con le condizioni profetizzate dal santo. L’albero (un cipresso), oggetto di profonda devozione popolare, suscitò le invidie del diavolo che, per gelosia, ne causò l’abbattimento. Subito dopo il taglio l’albero si capovolse, piantando in terra i rami e slanciando al cielo le radici. Documenti ne attestano la presenza rovesciata sino al 1777. Oggi, con le sue radici aeree (secondo alcuni compresenti a quelle sotterranee) ben vibili, costituisce una stranezza botanica. L’albero rovesciato o senza radici in acqua (v. voce “Acqua merc.”, Manduria) simboleggia il processo della manifestazione cosmica, dall’alto verso il basso e la sottile corrispondenza o specularità tra ciò che è in basso e ciò che risiede in alto (usque ad sidera, usque ad inferos della Tabula di Smeraldo). In tal senso va interpretato l’episodio di S. Francesco come metafora della subitanea rivincita e del rovesciamento-compresenza del Bene sul Male.


Archeologia e antropologia - Gargano (FG), Leuca (LE), Altamura (BA):

in prossimità del torrente Romandato (Gargano) e nella grotta Romanelli (Leuca) furono trovate importanti tracce del paleolitico inferiore (fase più antica di presenza attiva dell’uomo - 300.000 anni fa). Bibl.: Renato Russo, Storia della Puglia, Ed. Rotas.
Il 3 ottobre 1993, in fondo ad una grotta (zona Lamalunga di Altamura), i soci del Centro Altamurano ricerche speleologiche (CARS) individuarono lo scheletro di un antenato dei neandertaliani, databile attorno ai 200 milioni di anni. Fu un evento importantissimo per risalire alle origini del popolamento europeo e ricostruire il processo di umanizzazione del continente. Tuttavia, ad oggi, gli studi sono bloccati ed è ben noto il “gran rifiuto” opposto dal Ministero al programma di studi del reperto, elaborato dall’Università di Bari. Bibl.: D. Coppola, i seppellimenti paleolitici ed il luogo di culto, Riv. Scienze Preistoriche, 1992; C.B. Stringer ed altri, The origin of Anatomically Modern Humans in Western Europe (in The origins of Modern Humans, A.L. Liss Inc, New YorK, 1984; Vittorio Pesce Delfino, Eligio Vacca, Il rinvenimento di uno scheletro umano con caratteri arcaici in Altamura, Adunanza Istituto It. di antropologia; CARS, Diario di una scoperta straordinaria, Piazza, 1993.


Bombardamento - Bari:

2 dicembre 1943: sui libri di scuola questa data non figura, per la città di Bari fu una giornata indimenticabile ed uno dei più tragici e misteriosi eventi della seconda guerra mondiale (la maggior perdita navale delle forze alleate dopo Pearl Harbour). I radar posti a tutela della città non funzionarono, forse a causa di una semplice astuzia tedesca, lanciare dei pezzetti di carta stagnola per occultarne i sensori elettronici. Sta di fatto che 105 bombardieri Junkers della Luftwaffe, giunti indisturbati, flagellarono per venti minuti il porto ove erano ferme trenta navi da guerra angloamericane che, ufficialmente, trasportavano viveri ed armi convenzionali. Diciassette le navi affondate, 8 semidistrutte, altre danneggiate. Mille i militari morti in una operazione “chirurgica” che uccise cento baresi e danneggiò solo due palazzi. Seicentodiciassette vittime risultarono “contaminate” e i medici notarono strane ustioni sul corpo dei feriti che venivano curati come ustionati e morivano dopo poche ore, mentre un fumo nerissimo continuò a fuoriuscire per giorni dai relitti. Sulla vicenda calò l’oblio del top secret internazionale. In realtà, le navi trasportavano iprite, gas micidiale, vietato dalla Convenzione di Ginevra del 1925 ma utilizzato (clandestinamente) da quasi tutti gli eserciti, durante sia la prima che la seconda grande guerra. I tedeschi, evidentemente, sapevano bene cosa colpire e gli alleati tennero il più stretto riserbo sull’evento, onde evitare che simili barbarie inquinassero il loro mito “buonista” (v. gli studi condotti dall’ufficiale americano John Infield). Anche la memoria storica dei baresi fu confusa artatamente, deviando l’attenzione su successivi episodi di affondamento. Peraltro, gli americani, all’indomani del bombardamento, portarono fuori dal porto alcune navi e le affondarono, lasciando sui fondali molti pericolosi ordigni, individuati tra il 1995 ed il 1996 da un gruppo di studiosi (Angelo Neve, Giorgio Assennato, ai cui lavori si rinvia) e da un’indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Bari.
Alfredo Castelli ne “Il segreto di S. Nicola” (Ed. Bonelli, 1995) sostiene che il bombordamento servì a coprire una ben più importante operazione teutonica, il trafugamento del Santo Graal (la sacra Coppa nella quale Giuseppe di Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Cristo) dalla Basilica nicolaiana ov’era custodito (vedi voce “S. Nicola”). Il tentativo di furto sarebbe fallito ed il Graal si troverebbe ancora a Bari. Bibl.: Enzo Varricchio, “Nicola e il suo doppio”, ed. dal Sud, 1996.


Castello (del Monte) - Andria (BA):

questo edificio costituisce una vera e propria silloge ermetica. Si raggiunge dalla autostrada A 14, uscita Andria-Barletta. Oltrepassata Andria, si procede lungo la statale 170/ dir., verso sud per 17 km, sino ad una deviazione a destra che porta al castello. Va subito detto che, a parte la struttura fondamentale, sono andati perduti gli elementi indispensabili per ricostruire appieno lo straordinario puzzle federiciano. Sculture, marmi e mosaici sono stati abbandonati e depredati negli anni. L’architetto è ignoto e sconosciuta anche l’epoca esatta della costruzione. Fu realizzato da Federico II ma il progetto fu forse ispirato dai cistercensi, monaci costruttori del gotico internazionale (v. voce “cistercensi”). Non ha le caratteristiche abitative e militari di un normale castello. Anche come edificio di fasto e rappresentanza appare poco credibile, atteso il suo isolamento dai centri principali. Lo studioso Aldo Tavolaro ha ipotizzato l’uso sacrale ed iniziatico, vista la poderosa mole di particolarità simboliche, matematiche, archeoastronomiche, geografiche che presenta. Un edificio filosofale, una “dimora celeste” incastonata sulla terra.
Il significato astronomico del castello: sarebbe un enorme gnomone (asticciola delle meridiane), con il quale misurare le fasi astrali e zodiacali, a seconda dell’obra disegnata dal sole.

Enzo Varricchio

 

Castel del Monte - Andria (Ba):
L’ombra, a mezzogiorno, penetrava dal cortile e alla data del Capricorno (dicembre, solstizio d’inverno) raggiungeva la preesistente recinzione esterna. Con l’Aquario e il Sagittario essa coincideva con la circonferenza in cui è iscritto il castello; con i Pesci e lo Scorpione toccava il perimetro delle sale; con l’Ariete e la Bilancia l’ombra (anche oggi visibile) cadeva nella larghezza del cortile interno; con il Toro e la Vergine (aprile e agosto), l’ombra toccava il bordo nord della “Vasca Ottagonale” scomparsa e così via a lambire, nelle ulteriori fasi zodiacali, i sedili interni ed infine il bordo sud della vasca.
La posizione geografica della struttura (41°5’) è tale che agli equinozi, tra le undici e le tredici, il Sole percorre un angolo di 45°. Solo a questa latitudine i quattro punti cardinali toccati dal Sole (ai solstizi) tracciano un rettangolo ideale i cui lati sono in rapporto aureo tra loro (la cosiddetta sequenza del matematico Leonardo Pisano, detto Fibonacci, ospite alla corte di Federico). Il numero aureo (1,618.033.988.743), su cui converge detta sequenza, è presente nella pianta dell’edificio, nelle sale trapezoidali e nel portale.
Il prof. Nedim Vlora, di nobile stirpe albanese, docente di geografia all’Università di Bari, studiò le sequenze numeriche federiciane e le pose in relazione con quelle della celebre piramide di Cheope e della cattedrale di Chartres. Le corrispondenze sono notevoli e gli consentirono l’individuazione della leggendaria camera del Faraone. Egli spiegò che l’imperatore aveva voluto porre in rapporto il proprio dies natalis con la stella Sirio, alla maniera degli uomini-dei egizi.
L’ottagono ed il numero otto ricorrono numerose volte: il castello è un prisma ottagonale, alto circa 20 metri e largo circa 40 metri, ai cui spigoli si trovano otto torri (anch’esse ottagonali) della larghezza di quasi 8 metri. Ha un cortile ottagonale ed è diviso in due piani, ciscuno dei quali composto di otto stanze. Al centro del cortile vi doveva essere la vasca ottagonale. L’ottagono rappresenta l’elemento strutturale intermedio tra la base quadrata e la cupola circolare di un edificio (in Cina otto colonne reggono il tetto rotondo del Ming-Tang), ovvero la cosidetta “Rosa dei Venti” (i quattro punti cardinali + i quattro punti intermedi), e si riconnette al simbolismo cosmico del mondo intermedio tra il cielo e la terra, momento di passaggio da uno stato all’altro, transizione. Ad Atene, la Torre dei Venti era ottagonale; gli antichi battisteri cristiani avevano forma ottagonale; nello Scrivias di santa Il degarda, il trono divino che circonda i mondi è rappresentato da un cerchio sostenuto da otto angeli (in arabo, El-Arsh El-Muhit). Le otto stanze trapezoidali sono espressione degli stadi o passaggi intermedi. E’ molto probabile che Federico volesse porsi come tramite tra l’umano e il divino, sorta di Angelo (lett. messaggero) di Dio in Terra.
Il costruttore del castello volle introdurre talune anomalie in così vasta precisione (anche i cistercensi solevano fare altrettanto - l’imperatore indossò l’abito cistercense). L’ottagono del cortile è irregolare, il valore (47°) dei suoi angoli corrisponde al doppio dell’inclinazione dell’asse terrestre rispetto all’eclittica ed equivale al cono descritto dal polo celeste in un ciclo di “precessione” degli equinozi. La precessione, semplificando, è un fenomeno di spostamento dei rapporti tra la terra e la volta celeste, in virtù del quale il cielo che noi oggi vediamo è diverso da quello che osservavano i nostri antenati 26.000 anni fa. La valutazione di questo mutamento dello scenario astrale è alla base di molte nuove ipotesi sull’origine ed il significato di altri grandi architetture del passato (Sfinge, piramidi egizie e Maya - v. C. Wilson, “Da Atlantide alla Sfinge”, Piemme, 1997). Il castello è, inoltre, orientato sui punti cardinali, con uno scarto di circa 5° (l’obliquità dell’orbita lunare rispetto all’eclittica).
Nell’ultima sala al pian terreno (in senso antiorario) permangono resti del pavimento originario e figure geometriche (quadrati, cerchi, triangoli sovrapposti) dall’arcano significato sapienziale.
Alberto Fenoglio riporta che una scultura del monumento reca tale enigmatica iscrizione: “DS. I. D. Ca. D. Bz. C. L. P. S. H. Ak.”. Tale crittogramma fornirebbe lo strumento per scoprire il mistero del castello. Al di sopra dell’iscrizione c’è un riquadro che conteneva un bassorilievo raffigurante una donna vestita alla greca, incontrata da alcuni cavalieri vestiti alla normanna. Sia l’iscrizione che il bassorilievo, secondo Aldo Tavolaro, sarebbero rivolti ad est e colpiti dalla luce nascente agli equinozi. L’opinione di chi scrive è che la figura femminile corrisponde a Diana velata (eteronimo di Iside), la quale investe i normanni e la loro genìa (Federico era erede degli Altavilla!) di una sublime e segreta missione. Il Napolitano riferisce di altra simile iscrizione in cui qualcuno invoca la discesa di copiosa pioggia (manna? - v. voci “Acqua” e “S. Nicola”). Numerose le leggende che parlano di passaggi sotterranei (v. voce “passaggi segreti”) che collegherebbero il castello ad altri edifici (il palazzo ducale di Andria, il castello di S. Angelo a Canosa). Nel maggio 1921 alcuni contadini rinvennero un sotterraneo presso la masseria “Barico”, a circa trenta metri dal castello, otturato da formazioni calcaree di origine antichissima, prova che il sito fortilizio era considerato, anche prima di Federico, una “Dimora filosofale”.
Gli scarni appunti sinora enunciati servono esclusivamente a comprendere quanto elevate fossero le conoscenze scientifiche ed ermetiche dell’architetto di castel del Monte. Il maniero è dotato di impianti di lavaggio (v. voce “Acqua”) molto evoluti. E’ ben noto, d’altra parte, che Federico ebbe a disposizione i migliori ingegni del tempo, e del suo castello volle fare una sorta di “summa” sincretica tra il sapere orientale e quello occidentale, segno vivente della propria grandezza.
La stratificazione della leggenda al riguardo è davvero ponderosa. Il fatto stesso che la gran parte dei dati simbolici inseriti da Federico sia andata perduta è servito agli “inventori della tradizione” - cioé a coloro che (in buona o mala fede) hanno inserito elementi ipotetici o frutto di mera fantasia nel contesto dei fatti oggettivi - a costruire il mito “occulto” del castello. V’è chi ha voluto vedere in Federico, in quanto fulcro del sogno ghibellino, il capo dei cavalieri templari (i dodici scranni dell’anello superiore). Chi ha sostenuto la presenza del Santo Graal a Castel del Monte (la vasca ottagonale scomparsa); chi ha visto nella fortezza federiciana una specie di ricetrasmettitore con altri mondi o, addirittura, una navicella spazio-temporale. Lo stesso Hitler (ideale continuatore della grandezza dello Hohenstaufen) affidò ad Himmler il compito di continare la “opera iniziatica” di Federico in una fortezza abitata da superuomini. Ancor oggi, decine di adepti sogliono recarsi al castello, in alcune fasi dell’anno, ed ivi attendere particolari fenomeni.
Di certo bisogna dire che il fascino e la complessità dell’edificio sono tali da inquietare il più scettico dei razionalisti e meritare una autonoma trattazione per ciascuno degli elementi qui solo accennati.
Bibliografia: David Abulafia, Federico II, Einaudi, 1990-93; Fenoglio Alberto, Archeologia magica, MEB, 1990; Napolitano R., Castel del Monte, Tip. Francesco Rossignoli, 1926; Aldo Tavolaro: Castel del Monte e il segreto dei Templari; Castel del Monte e il Santo Graal; Astronomia e geometria nella architettura di Castel del Monte; Castel del Monte scrigno esoterico. Ediz. Fratelli Laterza. Castelli Alfredo: Martin Mystere, Almanacco del Mistero, Ed. Bonelli, 1988; Enciclopedia dei misteri, Mondadori, 1993. Romano G., Archeoastronomia italiana, CLEUP, 1992. Capone Bianca, Castel del Monte, sede dell’impero universale?, Gli Arcani, 1975. La Porta Gabriele, Castel d. M., la quadratura del cerchio. Grazzini G., Il segreto degli Svevi, “Bell’Italia”. Guidi S., E Federico II imprigionò la potenza degli astri, Famiglia Cristiana, 1987. AA.VV., Santi e santuari, Compagnia Generale Editoriale, 1979. Olmi M., Italia insolita e sconosciuta, Newton Compton, 1991. Touring Club Italiano, Guida d’Italia - Puglia, 1978.


Càtari - Faeto, Celle di S. Vito (FG):

autostrada A/16, uscita Grottaminarda. S.S. 90 verso nord fino alla S.S. 90/bis (dopo 26 Km); strada secondaria ancora direzione nord. Faeto è un piccolo centro montano da cui si domina il Tavoliere delle Puglie ed ove si parla un dialetto che ricorda la lingua d’Oc (franco-provenzale) e viene adoperato anche nel vicino borgo di Celle di S. Vito (Fg) -. Gli abitanti, isolati dai clamori delle metropoli, vantano la propria diversità e, all’ingresso del paese, una targa accoglie il visitatore con un “Benvenuto nella Minoranza”. E’ un caso di OOPTH (Out Of Place Thing - cosa fuori posto) culturale: un idioma sviluppatosi al di fuori del contesto storico-geografico che gli è proprio. Secondo una spiegazione tra le più accreditate, la presenza di elementi francofoni è dovuta alla migrazione, durante il medioevo (forse 1315), di gruppi occitani di religione Valdese che tentavano di sottrarsi alle persecuzioni.
I Valdesi prendono il nome dal loro fondatore, il mercante lionese Pietro Valdo, che nel 1173 dona i suoi beni ai poveri, raccoglie rapidamente dei seguaci e professa la povertà volontaria. Nel 1184 il Papa Lucio III scaglia l’anatema contro una serie di eretici (dal greco haìresis=scelta), tra i quali i “Poveri di Lione”, perseguitati sino al secolo XVII e attualmente diffusi in Piemonte (Torre Pelice) e collegati alla Chiesa riformata. L’eresia valdese rientra nel più ampio filone del dualismo religioso o “càtaro (puro)” sviluppatosi in Europa dopo il Mille, sia per reviviscenza di antichi fermenti manichei (o bogomilisti), filtrati in occidente per effetto delle Crociate, sia come espressione di nuove classi sociali in ascesa. I Càtari (oltre a Valdesi e Albigesi, Publicani, Pauliciani, Tessitori, Ariani, Bulgari ecc.) predicavano un rinnovamento morale fondato sull’antitesi tra Bene e Male, spirito e materia. Il mondo veniva concepito come campo di lotta tra Dio e Satana, inteso da alcuni come principio coeterno e opposto a Dio (dualismo vero e proprio: albigesi) e da altri come angelo ribelle (Lucifero), inferiore a Dio (Valdesi). Dal dualismo derivava: la condanna del Vecchio Testamento, ove appare Dio creatore della materia; il docetismo del Cristo; la negazione del Purgatorio; un esasperato ascetismo (condanna del matrimonio e della procreazione, vegetarianismo, divieto della proprietà privata, ricerca della morte per fame). I perfetti, coloro che avevano superato le prove di astinenza ed erano redenti dalla materia, si distinguevano dai credenti, coloro che credevano nelle dottrine càtare senza allontanarsi dal mondo materiale. Otto Rahn, studioso austriaco, poi divenuto ufficiale nazista, nel corso di una appassionata ricerca durata tutta la vita, sostiene che il catarismo si sarebbe sviluppato con l’innesto delle tesi manichee in un tessuto di origini celtiche. L’elemento più rilevante del Catarismo fu il carattere universale della fede professata (Gesù, Zoroastro e Buddah sono accomunati, oriente ed occidente fusi in un unica visione). Secondo la tradizione, i Càtari, che trovarono moduli espressivi nella epifania cavalleresca, nella poesia amorosa provenzale e dei Fedeli d’Amore (di cui fece parte lo stesso Dante), sarebbero stati depositari del Santo Graal nella fortezza di Montségur, sui Pirenei ariegesi (Francia). Bibliografia: Otto Rahn, Crociata contro il Graal, ed. S.E. Barbarossa, 1991; Olmi M., Italia insolita e sconosciuta, Newton Compton, Roma, 1991.


Cinta (Triplice) - Bari, Barletta (BA), Monte S. Angelo (FG), Terlizzi (BA), Vieste (FG):

la Cattedrale di Bari (1170-78) è uno splendido esempio dell’architettura romanico pugliese (su base originariamente bizantina). Al centro della rosa, all’interno del rosone (v. voce “Ruota”) - restaurato tra il 1931 e il 1935 -, si trova il motivo geometrico della Triplice Cinta druidica, ripreso nella mezzeria della pavimentazione interna. Nella vicina Basilica di S. Nicola (v. voce “S. Nicola”), la piazza antistante l’ingresso principale presenta un pavimento con il disegno di una metà di una Triplice Cinta. Anche a Barletta, nella Basilica romanico-gotica del Santo Sepolcro (1061), è visibile il simbolo in oggetto. Aldo Tavolaro ne ha individuato altro esempio sulle pietre tombali della Chiesa di Monte Sant’Angelo (FG) e a Sovereto (frazione di Terlizzi - Ba), presso il Santuario della Madonna (metà del XII sec.). Quest’ultimo è il luogo ove venne trovato il famoso dipinto della Madonna Nera (v. voce “Immagine”) e che fu sede di monaci Giovanniti (e forse Templari: è visibile un cavaliere segnato dalla lettera TAU - v. voce “Templari”), i quali costruirono un ospedale per i crociati. Il disegno della Triplice Cinta si può notare fuori dalla Chiesa, su un lastrone di pietra poggiato su una base di tufi e coperto da vasi di fiori. Anche a Vieste, presso la Cattedrale di S. Maria Assunta (XI secolo, costruita sulle rovine di un antico tempio pagano), sullo stipite di una porta, troviamo (disposto verticalmente) lo strano disegno.
Lo schema grafico dei tre quadrati concentici, con quattro segmenti che uniscono i punti mediani dei lati (e, a volte, anche i vertici) è antichissimo. Platone ci dice che il palazzo di Poseidone, nella metropoli degli Atlantidi, aveva una simile forma (le cinte erano circolari e collegate da canali navigabili). I Celti (o meglio, i druidi, sacerdoti celtici) adoperavano tale schema murario per segnare il luogo (Omphalos) ove celebravano i propri riti. Il Tempio biblico di Salomone era dotato di un cortile con tre ordini di pietre, così come la stessa Gerusalemme Celeste. La Triplice Cinta si trova in alcune cattedrali gotiche (Amiens, Somme) e fu forse adottata anche dai Templari. Il simbolo (che si trova anche a Roma, nel chiostro di S. Paolo e ad Atene sull’Acropoli) significa “Centro Sacro” e richiama i tre livelli della realtà ed i tre gradi iniziatici. La versione quadrata (terrestre) è in corrispondenza con quella circolare (celeste). Dal simbolo sono derivati alcuni giochi antichi e moderni: filetto, tris, mulinello, smerelli. Bibliografia: Guénon René, Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, 1975; Cordier Umberto, Guida ai luoghi misteriosi d’Italia, Piemme, 1996; Basile M. - Barracane G., La Cattedrale di Bari, Adda, 1995; per la Basilica di S. Nicola, vedi voce corrispondente; Touring Club Italiano, Guida d’Italia - Puglia, T.C.I., 1978; De Michele F., Sul Gargano apparve l’Arcangelo, Padri benedettini, Monte S. Angelo (Fg); Valente G., La Madonna di Sovereto e il carro trionfale, Mezzina, 1994.


Cistercènsi - S. Maria del Galeso (Ta), S. Maria della Carità di Ripalta (Capitanata - Fg), S. Maria di Tremiti (Fg), S. Giovanni in Lamis (S. Marco in Lamis - Fg), S. Benedetto (Conversano - Ba):

L’ordine trae origine dal distacco di una costola “rigorista” dei cluniacensi, verificatosi alla fine del XII sec. Nel 1098 Roberto di Molesme fondò a Citeaux un nuovo monastero, dotato di antichi precetti. Nel 1112 fece ingresso nell’ordine Bernardo di Chiaravalle, il personaggio principale per la storia dei Cistercensi (autore, tra l’altro, del De Laude Novae Militiae, pragmatica fondamentale dei Cavalieri Templari). Le ragioni dello straordinario sviluppo dell’Ordine vanno cercate nelle condizioni religiose e morali dell’Europa dopo la lotta per le investiture ma anche nel fervore incontrato dal rigorismo morale della regola cistercense, in un’età in cui le aspirazioni al ritorno ai canoni evangelici provenivano impetuosamente dalla base. I Cistercensi furono abili bonificatori e colonizzatori agrari. Bernardo e i suoi seguaci crearono e diffusero una corrente di pensiero, a tendenza mistica (secondo alcuni addirittura esoterica), che influenzò a lungo e profondamente la cultura medievale. Dopo il 14° secolo l’ordine decadde, poi frazionandosi in diverse congregazioni (tra cui l’odierna “trappista”). Essi furono grandemente periti nell’Arte di costruire e con le loro abazie in vari Paesi contribuirono alla diffusione delle tradizioni costruttive e delle forme architettoniche sviluppatesi in Francia nel 12° secolo. Il sorgere e il fiorire dell’ordine coincise con lo sviluppo dell’architettura gotica. Di qui, la polemica a distanza tra gli storici e gli “indagatori del mistero”. Gli uni, correttamente ricordando lo stile austero di tutte le costruzioni cistercensi, dichiarano che queste nulla avrebbero a che spartire con la magniloquenza gotica; gli altri, nella necessità di trovare una linea di continuità tra le superbe architetture mistiche del passato (tra cui, il leggendario Tempio di Salomone a Gerusalemme, opera dell’architetto Hiram e luogo ove sarebbe stata custodita l’Arca della Allenza insieme ad altri oggetti metafisici) e quelle medievali e successive, sostengono che i cistercensi avrebbero ereditato una antichissima dottrina sapienziale (di derivazione pre-egizia). Secondo questi ultimi (di formazione rosicruciana o massonica), i monaci bianchi ispirarono direttamente i grandi templi gotici, nascondendovi le chiavi simboliche di accesso agli arcani misteri, e trasmisero le basi spirituali della famosa cavalleria templare. L’art got sarebbe stata una forma di argot, ovvero di lingua universale e cifrata, riservata agli adepti, la cosiddetta “Lingua degli Uccelli”.
In Puglia, l’Ordine pose i propri insediamenti correlandosi alla fitta trama dei monasteri preesistenti (campani, bizantini, Verginiani, Pulsanesi, Florensi).
Situata su una piccola altura nei pressi del fiumicello Galeso, a nord del Mar Piccolo, la badia di S. Maria venne consacrata il 20 ottobre del 1169 dall’arcivescovo Angelo e fu sede dei monaci cistercensi. Si ricordano ancora: S. Maria della Carità di Ripalta in Capitanata (lungo la riva destra del fiume Fortore, tra i territori di Lesina e Serracapriola); S. Maria di Tremiti, sovente tiranneggiata dai pirati dalmati e focolaio della leggenda del predone Omis, il quale sarebbe riuscito ad entrare nel monastero fingendosi morto. Si fece chiudere nella bara con le armi per poi saltar fuori al buon momento e scatenare il finimondo. Nei pressi dell’attuale S. Marco in Lamis, nel primo decennio del secolo XIV vi fu il monastero di S. Giovanni in L. (ora intitolato a S. Matteo), retto dal 1353 da un monaco di Chiaravalle, Giovanni de Guisya.
Monache cistercensi, profughe dal Peloponneso, andarono ad insediarsi nel 1266 nel monastero abbandonato di S. Benedetto di Conversano (ancor oggi uno dei più affascinanti chiostri in terra di Bari). Munite di particolari guarentigie, privilegi e poteri giurisdizionali, queste monache mitrate diedero vita ad una comunità, soppressa solo nel 1866 (scomparsa definitivamente nel 1920). Secondo Gino Locaputo, regista e ideatore del Festival del Mediterraneo, la comunità femminile della badìa di S. Benedetto rappresenta uno dei più mirabili esempi di opposizione alla visione maschiocentrica che la Chiesa Cattolica tuttora conserva (ampiamente, in “Barisera” 8-9 marzo 1997).
I cistercensi in Puglia operarono con parecchie loro “grangie” (aziende agricole, come il Casale di S. Simeone presso Surbo) e offrirono a Federico II (soprattutto in Capitanata) un grande apporto nella sua opera edificatoria (pare che Federico, in punto di morte abbia indossato l’abito cistercense). Bibliografia: Fulcanelli, Il mistero delle cattedrali, ed. Mediterranee, 1972; Pasquale Corsi, I Cistercensi nella Puglia medioevale in Atti del Convegno organizzato da Hubert Houben e Benedetto Vetere su “I Cistercensi nel Mezzogiorno medievale” (Martano-Latiano-Lecce 25-27.2.91); A.A.V.V., Insediamenti benedettini in Puglia: S. Maria del Galeso, 1980; L. De Simone, Studi storici in Terra d’Otranto, Firenze, 1888.
continua

Enzo Varricchio

 

20.2.1997(diritti riservati)
Enzo Varricchio



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